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68 affreschi e il dipinto che cercherete invano: la Gioconda

Scritto da  Salvatore Giannella e Benedetta Rutigliano

In viaggio verso la quarta tappa del nuovo Atlante dei paesi dipinti in Lombardia, ci lasciamo alle spalle gli storici affreschi di Arcumeggia per dirigerci ancora più a nord, in una piccola frazione di Dumenza, Runo, situata nella verdeggiante Val Dumentina (soprannominata anche Valle Smeraldo). Proprio qui, in un centro di 369 abitanti in provincia di Varese e al confine con la Svizzera, ci troviamo inaspettatamente di fronte a un’avvincente storia su un clamoroso furto d’arte che ha catalizzato l’attenzione della stampa nazionale ed estera, divenuto poi oggetto di film e documentari. Si tratta del furto della Gioconda, l’enigmatico ritratto eseguito da Leonardo da Vinci nella prima decade del 1400, sottratto abilmente dal celebre museo del Louvre grazie alla mano lesta di un italiano nato proprio in questo paese del varesotto, Pietro Vincenzo Peruggia: un suo parente, Valerio Peruggia, che incontriamo in municipio, è proprio il sindaco di questa comunità.

Dumenza, madre di artisti. Prima di entrare nei dettagli di questa vicenda rocambolesca, ci piace sottolineare i sottili legami di questo piccolo paese con l’arte: si cominciano a delineare già registrando proprio a Runo la nascita del celebre pittore, peraltro di scuola leonardesca, Bernardino Luini, nel 1481 circa. Non solo. Dalla stessa famiglia dell’artista nasce, qualche anno dopo, il cuoco che fu a servizio di personaggi quali il cardinale Lorenzo Campeggi, Papa Paolo III, e Pio V: Bartolomeo Scappi, lungimirante antesignano della tecnica di cucina, soprannominato, ancora a rimarcare il gene creativo, “il Michelangelo della cucina”. Runo è inoltre luogo d’origine dei vari rami della famiglia Trezzini che si diressero nelle confinanti località svizzere, dove nacque il celebre architetto e urbanista Domenico Trezzini, che nel 1703 fu incaricato dallo zar Pietro il Grande di edificare la nuova capitale russa, San Pietroburgo. Nel 1822 nacque poi Raffaele Casnedi, prima allievo dell’Accademia di Brera, poi insegnante dal 1856. Si dedicò soprattutto all’affresco (specialmente nelle chiese della Brianza) e con Giuseppe Bertini decorò tra il 1861 e il 1863 il sipario del Teatro alla Scala con Le Fabulae atellanae.

L’arte per le strade: nasce Runo per l’affresco. Il gene artistico del paese, che evidentemente scorreva nella forma di un particolare patriottismo e “attaccamento per l’arte” anche nel giovane Peruggia, si rinnova in tempi non lontani, nel 1978, con l’iniziativa “Runo per l’affresco”, di cui ci racconta l’attuale assessore alla Cultura di Dumenza, Graziella Nuvoli. Con lo scopo di valorizzare il patrimonio storico del territorio e vivacizzare il borgo, il progetto coinvolge numerosi artisti locali e lombardi che realizzano mediante l’arte millenaria dell’affresco ben 68 pannelli su muro. Questi, a differenza dei murales ammirati nei precedenti paesi dipinti (vedi Calcio link; Madone link; Arcumeggia link), si distinguono proprio per essere removibili e collocati all’interno di una cornice, esattamente come dei quadri appesi sui muri. Restituendo l’effetto di una passeggiata in una galleria d’arte, ma all’aperto, questa manifestazione allieta i cittadini di Runo e dintorni anche grazie a uno strutturato comitato organizzativo di circa venti persone, presieduto da Pietro Renzo Pelandella e numerosi consiglieri tra cui Carlo Alberto Lotti. Purtroppo l’entusiasmo dura pochi anni, fino al 1981 circa, data entro la quale si conclude anche il restauro della via Crucis al Santuario di Trezzo.

I restauri dei corsisti dell’Accademia di Brera oggi. La storia dei quadri a fresco appesi sui muri delle case di Runo, personali espressioni di ogni singolo artista senza un tema predominante, fortunatamente non termina negli anni Ottanta: a fare rivivere queste opere è intervenuta la prestigiosa Accademia delle Belle Arti di Brera, che dal 2008-2009 si è adoperata, grazie al lavoro degli allievi del corso di restauro, per riportare luce su queste opere rovinate dal tempo e dal degrado. Un lavoro fortemente voluto dall’Amministrazione Comunale che si è presa carico delle spese per i materiali utilizzati. I restauri dei quadri non sono ancora del tutto terminati, e hanno incluso anche l’edicola funeraria del pittore Davide Pozzetti e a un’edicola della Via Crucis del Santuario di Trezzo.

La Gioconda va in vacanza per due anni. Vincenzo Peruggia (Dumenza, 8 ottobre 1881 –Saint-Maur-des-Fossés, 8 ottobre 1925) è il protagonista di questa storia (che non ha nulla da invidiare, in quanto a contenuti, alle finzioni letterarie di Dan Brown), sarebbe stato certamente soddisfatto nel vedere tra i quadri restaurati dall’Accademia anche uno dei dipinti più celebri al mondo, la Gioconda di Leonardo da Vinci. Capolavoro reso ancor più noto anche grazie al gran rumore derivato dal furto al Louvre nel 1911, architettato proprio da Peruggia stesso. Nato a Trezzino, una delle frazioni di Dumenza, nel 1881 (esattamente quattro secoli dopo la nascita di Bernardino Luini) Vincenzo Peruggia segue il padre muratore a Lione nel 1897. In cerca di altro lavoro, nel 1907 va a Parigi, e assunto dalla ditta del signor Gobier, viene mandato al Museo del Louvre per pulire i quadri esposti e ripararli con cristalli. Un lavoratore senza macchia, fino a quella mattina del 21 agosto 1911, quando decide di prelevare dal museo niente poco di meno che la Monna Lisa, che allora non godeva di una stanza tutta per sé all’interno del Louvre, ma condivideva meriti e onori con altri dipinti del Salon Carrè.

Indagati anche Apollinaire e Picasso. Determinato e lesto, Vincenzo stacca il quadro dalla parete, lo libera della cornice e del vetro e lo avvolge nella giacca; con l’aiuto di un idraulico riesce a lasciare il museo dirigendosi, dopo altre peripezie (nella fretta sbaglia la direzione dell’autobus e chiede passaggio a una vettura in transito) in rue de l’Hopital Saint Louis, dove nasconde il dipinto in una cassa di legno. Ventiquattro ore dopo, la mattina di martedì 22 agosto (il lunedì era giorno di chiusura del Louvre) gli artisti Louis Beroud e Frederic Languillerme, desiderosi di imparare dai grandi maestri, si accorgono del quadro mancante e informano il capo della sicurezza, monsieur Poupardin, della sua scomparsa; in poco tempo nella sala si riuniscono il direttore del museo monsieur Homolle, il sottosegretario di Stato alle Belle Arti, il capo della polizia e il prefetto di Parigi, Louis Lepiche. Bloccate le uscite, tutto il personale del museo viene indagato, e le accuse vengono scagliate persino su Guillaume Apollinaire e Pablo Picasso. Peruggia stesso viene sottoposto a interrogatori nella sua modesta abitazione, ma ancora è premiato dalla sua astuzia: riesce infatti a nascondere il quadro in uno spazio ricavato sotto l’unico tavolo e a uscirne indenne.

La notizia del furto dilaga subito occupando tutte le prime pagine della stampa internazionale, che contribuisce in questo modo ad alimentare notevolmente la fama del dipinto. Per la prima volta, fuori dal Louvre, file lunghissime di visitatori attendono di entrare per ammirare uno spazio vuoto.

Da Parigi a Firenze, un gesto patriottico. Per due anni gli occhi della sorridente Monna Lisa si riposano per incontrare solo quelli di Vincenzo Peruggia, che tenta nel 1913 un’altra impresa memorabile, quella di portare in Italia il dipinto leonardesco come sorta di “bottino” volto a equiparare i vuoti lasciati dalle opere sottratte da Napoleone I. Mosso da tale intento, Vincenzo coglie questa occasione: nell’autunno del 1913 il collezionista d’arte fiorentino Alfredo Geri organizza una mostra nella sua galleria chiedendo ai privati, tramite un annuncio sui giornali, il prestito di alcune opere. Riceve così da Parigi una lettera firmata da un enigmatico Monsieur Léonard V, nome inventato ad arte da Peruggia, nella quale si propone la vendita della Gioconda a patto che il capolavoro torni in Italia e venga lì custodito. Consultatosi con Giovanni Poggi, direttore degli Uffizi di Firenze, Geri fissa un incontro con Monsieur Léonard l’11 dicembre 1913 in un albergo di Firenze. Appurato, assieme al direttore degli Uffizi, che il dipinto in questione non è una copia bensì l’originale, Geri fa arrestare Peruggia. Questa storia ce la racconta l’attuale sindaco di Dumenza, Valerio Peruggia, che come suggerisce il cognome è parente del noto sottrattore della Gioconda. È proprio il sindaco a dirci che, svoltosi il processo nel giugno 1913, il suo antenato riesce il mese successivo a ottenere la riduzione della pena da un anno e mezzo a soli sette mesi e otto giorni grazie a due motivazioni principali. Innanzitutto la capacità di difendere se stesso, giustificando il furto con uno spiccato amore per la patria, con la patriottica volontà di restituire all’Italia uno dei quadri prelevati da Napoleone (senza considerare che in realtà la Gioconda non era tra questi, ma venne portata in Francia dal Leonardo nel 1516 e sembra appartenere alle collezioni reali francesi già dal 1625). Altra motivazione importante era stata la pressione popolare, incrementata da personaggi illustri del tempo quali Eleonora Duse e Gabriele d’Annunzio, nel difendere le gesta di questo insospettabile eroe. I carteggi di Duse e d’Annunzio in sostegno di Peruggia diventano cenere a cause dell’ira dei genitori del giovane ladro di Monna Lisa, che gettano tra le fiamme ogni traccia di questa vicenda, addolorati per le azioni inaccettabili del figlio allora trentaduenne.

Il cerchio si chiude: il ritorno al Louvre. Le autorità italiane decidono di restituire il dipinto ai francesi, che consentono così alla Gioconda di farsi ammirare prima agli Uffizi a Firenze, poi all’ambasciata di Francia di Palazzo Farnese a Roma, infine alla Galleria Borghese. La Monna Lisa arriva in Francia a Modane, su un vagone speciale delle Ferrovie italiane, accolta in pompa magna dalle autorità francesi, per poi giungere a Parigi. Qui, nel Salon Carré, l’attendono il presidente della Repubblica francese e tutto il Governo, lieti di poterla nuovamente sottoporre agli sguardi di tutti i fruitori. Che sono moltissimi: ricordiamo che attualmente il Louvre è il museo più visitato al mondo, con quasi 9 milioni di visitatori l’anno.

Peruggia segue la Gioconda: l’ultima astuzia. Nonostante il racconto del “ratto della Gioconda” sia concluso, non possiamo esentarci da ricordare l’ultima scaltra mossa del Peruggia che, una volta scarcerato, dopo aver partecipato alla Prima guerra mondiale, si sposa e torna in Francia utilizzando un altro espediente. Sui documenti per l’espatrio sostituisce il nome Vincenzo con Pietro, altro nome col quale è registrato all’anagrafe di Dumenza. Si stabilisce a Saint-Maur-des-Fossés, nella periferia di Parigi, dove nel 1924 nasce la sua unica figlia, Celestina, che ignara di tutto veniva soprannominata in paese “Giocondina”. Questa vicenda così curiosa e avvincente ha ispirato diverse sceneggiature, tra cui ricordiamo il documentario “Mona Lisa is Missing” (in origine titolato “The Missing Piece”) diretto da Joe Medeiros, il quale nel 2008 ha fatto apporre una targa in memoria di Peruggia vicino al portone della sua casa natale a Trezzino.

Runo e i dintorni. Dopo questo viaggio nel tempo e nello spazio, riportiamo il visitatore del paese dipinto alla piccola frazione di Runo: caratteristica rimane la torre campanaria della chiesa di San Giorgio, che aveva un ruolo militare nel periodo precedente il Mille, unica superstite di un sistema di torri di avvistamento lungo le valli durante le diverse invasioni barbariche che provenivano dal lago. La chiesetta invece fu consacrata nel 1574. Dumenza gode inoltre di un primato: il Monte Lama, il più alto di Varese, è proprio all’interno del suo territorio. Il paese poi, oltre a essere vicino alla Svizzera, confina con Agra, piccolo comune che gode di una posizione privilegiata e può essere considerato una vera e propria terrazza assolata sul Lago Maggiore, in un contesto ambientale e naturalistico di grande pregio. Caratteristico anche il vicino comune di Curiglia con Monteviasco, il solo centro della Val Veddasca situato sul versante meridionale: il paese è arroccato sul fianco della montagna e vanta rustiche costruzioni in pietra a vista e dai tetti in beole. Unica la vista che spazia dalla Val Veddasca al lago Maggiore, offerta dalla panoramica funivia che conduce da Ponte di Piero a Monteviasco. A soli sei chilometri da Dumenza poi si trova Luino, col suo lungolago contrappuntato da platani e dalle architetture dei palazzi che delimitano il vecchio porto napoleonico. Da vedere anche il centro storico, con le stradine in salita, i palazzi rinascimentali e barocchi, i loggiati dei cortili interni, le botteghe artigiane ed i negozi. Proprio qui nacquero il poeta Vittorio Sereni e lo scrittore Pietro Chiara.

Quadro riprodotto: La partenza, di Andrea De Bernardi (1980), unico affresco realizzato a Runo di Dumenza direttamente sulla parete di una casa. Il pittore De Bernardi, scenografo e costumista, appassionato della storia e delle tradizioni della terra varesina, rappresenta un uomo e una donna in costumi popolari ottocenteschi da festa tipici del varesotto, nel momento del saluto prima della partenza. Il tema dell’affresco si ricollega alla storia di queste valli, dove gli abitanti sono costretti all’emigrazione alla ricerca di un lavoro stagionale (da metà marzo a metà ottobre).

*pubblicato originariamente sul blog di Salvatore Giannella, che ringrazio e ringraziamo sentitamente per i sempre interessanti contributi pubblicati – link: giannellachannel.info

http://giannellachannel.info/2014/07/19/runo-di-dumenza-68-affreschi-e-il-dipinto-che-cercherete-invano-la-leonardesca-gioconda/

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