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Il saronnese Giorgio Fontana vince il premio Campiello

Scritto da 

di Carla Tocchetti

Un gran bel romanzo ha vinto quest’anno il Premio Campiello, e sono orgogliosa che sia di un autore di origine saronnese: Giorgio Fontana, con “Morte di un uomo felice”. Ho il privilegio di incontrare di persona Giorgio, che è stato invitato a Pordenonelegge, ma in realtà ci siamo già conosciuti su Facebook: siamo amici e abbiamo già commentato insieme la sua vittoria. E’ un ragazzo come tanti, minuto, tranquillo, disponibile, vivacissimo con gli occhi. Gli intervistatori sul palco sono con tutta evidenza spiazzati che abbia vinto il più giovane della cinquina, premiato a larghissima maggioranza dalla giuria popolare: lo definiscono con poca eleganza “un sottoquarantenne”, forse perchè ha osato dare la polvere ad autori ben più noti e attempati. Anche loro sono alla ricerca di scoprire chi è Giorgio.

Giorgio non è un esordiente, anzi ha lavorato davvero sodo nonostante i suoi trentatrè anni: è arrivato al Premio tramite l’Editore Sellerio che gli ha pubblicato anche un titolo importante già tre anni fa: “Per legge superiore”. Scopriamo subito che i due romanzi hanno il medesimo “universo narrativo” e costituiscono un dittico, sono entrambi ambientati all’epoca della nascita dei primi movimenti partigiani nelle aziende metalmeccaniche del saronnese, di cui Giorgio ha studiato a fondo i meccanismi e le storie vere, attraverso saggi e cronache dell’epoca: “Morte di un uomo felice”, libro generato dal precedente, è un romanzo di spessore sociale, denso, importante. Papà Ernesto Colnaghi, operaio saronnese, partecipa alla nascita della Resistenza fondando un movimento partigiano deciso a contrastare l’occupazione militare tedesca attraverso scioperi e attività clandestine. L’eredità umana e morale del padre si trasmette al figlio Giacomo, che ritroviamo magistrato inquirente sul terrorismo di matrice brigatista che insanguina il milanese nell’estate del 1981. Nella narrazione si alternano sapientemente le loro storie, vicende partigiane e anni di piombo, ricostruzione storica e finzione, due vite affrontate in modo opposto: l’uno frenetico l’altro più intimista, che la scrittura raffinata e precisa di Giorgio ci restituisce con due diversi linguaggi.

Al lettore spetta trovare il fil rouge legato alla sciarada del titolo, che fa riferimento alla ricerca di una verità ideologica che possa restituire equilibrio all’uomo all’interno dei conflitti sociali più estremi. Giorgio, classe '81, è nato proprio nell’anno in cui si svolge la vicenda principale del romanzo. E’ il periodo in cui si consuma una frattura definitiva e sanguinosa tra il vecchio e il nuovo ordine delle cose, rappresentato in “Morte di un uomo felice” dalla prospettiva delle due generazioni. Dice Giorgio: “Il fatto di essere nato in quell’anno, e di non aver vissuto come testimone diretto quelle vicende mi permette di avere un occhio da storico, libero da spiriti di fazione. Questo mi permette una narrazione pacificata, perchè la memoria di per sé non è mai completamente condivisa.” La curiosità spinge molti a chiedere chi è quell’uomo felice a cui fa riferimento il titolo, e Giorgio risponde: “Forse non sembra felice, il protagonista del romanzo, che vive in una guerra civile anche se non dichiarata ufficialmente, e deve fronteggiare la ferocia umana che produce atti terroristici estremi. In realtà lo è. Perchè è in fondo un uomo dal cuore semplice, che ride delle sue barzellette, che scopre la felicità nelle piccole cose.. è come me, mi assomiglia”.

Pongo a Giorgio una ultima domanda che sottende una riflessione sul futuro della sua scrittura: chiedo se la forma del “sequel” (anche se non lo è propriamente) sia una precisa strategia al fine di costruire e mantenere un pubblico di lettori. “No, non ci sarà alcun terzo libro sul tema; il dittico rimane tale e i miei prossimi lavori saranno molto diversi” dice Giorgio, e prosegue, con la classe di un grande scrittore: “Per uno scrittore è sempre stato fondamentale, credo, crearsi un pubblico di lettori e mantenerlo offrendo loro delle belle storie. Niente di più e niente di meno di questo: senza barare, senza cercare di voler piacere a tutti, senza scrivere libri con altri propositi. Quel che si ha da dire, nel modo più adeguato, e per chi lo desidera ascoltare.”

 

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