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Gianni Spartà

Gianni Spartà (96)

Se si arriva a chiedere di riportare su un marmo dell’istituto di Medicina legale ciò che resta di Lidia Macchi a ventinove anni dalla sua atroce fine, qualcosa dev’essere accaduto da quando, imprevedibilmente e improvvisamente, è finito in carcere per omicidio un amico della ragazza, di sua sorella Stefania, del gruppo di Comunione e Liberazione: Stefano Binda. Sorprendente e nemmeno da pensare sarebbe il contrario. E cioè che unico indizio di colpevolezza fosse ancora, dopo un mese e mezzo, la perizia grafologica sulla lettera spedita a casa Macchi il giorno dei funerali della figlia e attribuita oggi alla mente delirante dell’assassino. Uno che in quella “notte di gelo e stelle” ha straziato il corpo di Lidia dopo averci fatto l’amore. Un amore malato di odio, pervaso di credenze fondamentaliste, ossessionato da manie distruttive: “Velo di tempio strappato”. Un amore descritto con frasi bibliche nella lettera intitolata “In morte di un’amica”.Binda,…
E’ un vero peccato, sicuramente non di superbia, il rifiuto con il quale Dario Fo ha detto “no grazie” al premio alla carriera che Varese gli voleva conferire nel nome e nel ricordo di Piero Chiara, luinese come lui. I nemici politici del Giullare Nobel hanno intinto la penna nel veleno, vergando accuse di snobismo. Gli instancabili organizzatori del concorso letterario ci sono rimasti male. Gli estimatori di un protagonista indiscutibile della cultura italiana, cioè i più, se ne sono fatti una ragione. Sulla Bbc non ne hanno parlato. Ma che a Dario Fo, tra qualche giorno novantenne e tuttavia sempre lucido come la palla di un biliardo, l’aria di Varese possa provocare l’orticaria, se non è giustificabile, è comprensibile, pensando a un processo di cui egli fu attore in queste contrade nel 1978 e al quale potremmo dare un titolo come fosse un commedia: Mistero Buffo, Fo repubblichino. Ciumbia:…
“Qualcuno era comunista perché gliel’avevano detto”. “Qualcuno era comunista perché non gli avevano detto tutto”. “Qualcuno era comunista perché si sentiva solo”. “Qualcuno era comunista perché aveva avuto un’educazione troppo cattolica”… Si potrebbe tirare l’alba declinando il celebre monologo di Gaber con quel finale struggente: “Sì, qualcuno era comunista perché, con accanto un tale slancio, era come più di se stesso… E ora? Anche ora ci si sente come in due. Da una parte l’uomo inserito che attraversa ossequiosamente lo squallore della propria sopravvivenza quotidiana e dall’altra il gabbiano senza più nemmeno l’intenzione del volo perché ormai il sogno si è rattrappito”.  Quanti ricordi e quanti rimpianti. Ma non siamo qui a processare la storia. Nemmeno a celebrarla. Siamo qui – in una enclave ricca e tranquilla, quasi svizzera – a lanciare una provocazione. Questa: “Qualcuno era comunista perché sentiva Radio Varese”. Oppure ci andava di mattino presto a trasmettere…
Roberto Formigoni se la ride, ammesso che non ci sia da piangere: cambiando l’ordine dei fattori, il prodotto non cambia. Vale per la matematica e per il Rione Sanità, non della Campania camorrista, ma della Lombardia locomotiva d’Europa. Con una differenza valutata a pelle: gli scandali del ventennio pilotato dal “Celeste” avevano come protagonisti ieratici imperatori dell’appalto truccato, geniali inventori di scorciatoie a vantaggio di amici degli amici e lui, il padrone da ringraziare, era l’uomo delle vacanze in alberghi a sette stelle e di tuffi da yacht favolosi. Nel dopo va in scena tutta un’altra storia: personaggi e interpreti si rivelano di terza e quarta fila, danno l’impressione d’essere poveri autisti di taxi urbani, se paragonati a impettiti guidatori di limousine. Duemila euro nascosti a Besozzo nel congelatore di Fabio Rizzi, medico, padre della riforma Maroni, a quanto pare rimasugli di un tangentone, sembrano uno sberleffo alla professionalità dell’illecito,…
Si profila come un bel derby, non come un palio strapaesano, la gara per il nuovo sindaco di Varese: è questa la prima lieta novella con cui comincia la quaresima, archiviati i cordiali (e gli spropositi) di carnevale. Un avvocato amministrativista del Pd, Davide Galimberti, contro un imprenditore rampante senza tessera, Paolo Orrigoni, entrambi laureati in legge, entrambi trentanovenni, la generazione Renzi. Poi ce n’è una seconda: dovrebbe essere finita la telenovela – il condizionale è d’auspicio- dei personaggi da bruciare come pupazzi sulla pira delle candidature in un centrodestra mai così inquieto. Cioè nello schieramento che per vent’anni ha guidato la città “quando c’erano loro”: Bossi e Berlusconi. Abbiamo avuto sindaci che ci hanno messo la faccia e quasi sempre non l’hanno persa. Il primo fu Raimondo Fassa (ricordate?) che del leghista celodurista non aveva nulla: amministrò finché poté e quando gli imposero gite sulle rive del dio Po…
C’è il dramma silenzioso di un sacerdote amatissimo dietro e dentro l’inchiesta che ha rumorosamente acceso i riflettori sull’omicidio di Lidia Macchi. Questo sacerdote è don Fabio Baroncini, 73 anni, amico e confessore della ragazza uccisa con 29 coltellate, megafono varesino di don Giussani all’epoca del delitto e fenomeno della fede in Cristo che l’ha messo davanti alla prova “più atroce anche se mai priva di senso”: perdere e in quel modo una delle sue allieve più intelligenti e vivaci; scoprire, a distanza di 29 anni, che a farle del male in quella notte di gelo e di stelle in un boschetto sopra Cittiglio sarebbe stato un’altra fulgida promessa di Comunione e Liberazione negli anni ’80, un altro dei suoi preferiti: Stefano Binda, in carcere dal 15 gennaio con un movente terribile per l’omicidio. L’ossessione del suo credo religioso (parola dell’ordinanza di custodia cautelare) l’avrebbe indotto a punire Lidia per…
Davide Galimberti ha vinto le primarie del Pd ma anche lui, come chiunque con la politica sul gradino più basso della popolarità, pensa a una lista civica di sostegno per dare la scalata alla prima poltrona di Palazzo Estense. Ha già trovato il nome: “Fare” . Ce n’è un bisogno immenso, perché negli anni in cui doveva volare libera dal giogo romano (meno tasse, semplificazione, prima il Nord, padroni a casa nostra e via fantasticando tra ampolle, scope e “Va pensiero” con la mano sul cuore ), Varese è rimasta a terra. Meglio che sprofondare. C’è un’attenuante valida anche a Caltanissetta: la crisi internazionale, il virus della ricchezza costruita sui debiti che ha contagiato tutto il mondo. Ci piace buttare giù un promemoria, mica un’agenda, ci mancherebbe, per chi vuole governare il capoluogo. Premessa: per capitale umano, a giudicare dai successi di tanti varesini all’estero, siamo messi bene. L’ultimo botto…
Se fossimo nei panni e nelle funzioni del presidente pro-tempore del tribunale di Varese non manderemmo giù le dichiarazioni rese nei giorni scorsi da un “esperto”, ospite di uno dei tanti talk show che stanno vivisezionando col senno di poi, e con qualche indulgenza alla letteratura poliziesca, il caso Lidia Macchi. Per difesa corporativa di chi ci lavora con onestà e di chi ci lavorò? Anche. Ma soprattutto per una questione di immagine dell’istituzione e di fiducia nella giustizia, la poca rimasta nei cittadini italiani dopo tanti svarioni processuali. Al cospetto di milioni di telespettatori, quel personaggio ha detto: il tribunale di Varese andrebbe chiuso e la chiave buttata via. Si riferiva a errori e omissioni attribuiti a singoli magistrati. In particolare alla distruzione, nell’anno di grazia 2001, di reperti biologici spalmati su undici vetrini di laboratorio (liquido seminale, sangue) che consentirebbero oggi di incastrare l’asserito assassino della studentessa di Comunione e…
Una macchia di giacconi neri davanti al carcere dei Miogni. Visto da lontano sembra un corteo, da vicino un assembramento di persone che fanno lo stesso mestiere: giornalisti, fotografi, cineoperatori. Freddo cane, fumo di sigarette mescolato a nuvole di respiro che, una volta all’esterno, fanno condensa, restano sospese nell’aria.Ma che succede a Varese, dove seconda la vulgata non succede mai nulla e invece negli ultimi trent’anni è successo di tutto? Siamo tornati ai tempi di Tangentopoli, in quel 1992 che fu un ’48, quando ogni mattina i cellulari della polizia penitenziaria o le giuliette dei carabinieri e della polizia scaricavano davanti alla vecchia e cadente prigione, sindaci, assessori, presidenti di enti pubblici, impresari edili, segretari di partito, faccendieri e portaborse, gestori di case di riposo, tutti corrotti secondo le accuse, tutti divoratori di denaro pubblico, tutti abbonati al cineforum delle tangenti? Oppure siamo di nuovo al centro di una bufera…
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