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Lo sferragliare più amato dai milanesi: la storia del tram

Scritto da  Mauro Colombo

Milano e il tram, un legame indissolubile che affonda le radici nella storia della città degli ultimi due secoli. Nonostante i progressi tecnologici, le diverse necessità della mobilità urbana ed extraurbana e i nuovi mezzi di trasporto successivamente entrati in servizio, il tram ha sempre mantenuto la sua importanza e consolidato nel tempo anche una funzione identitaria e culturale ben precisa. Un mezzo su tutti: il "1928", storica vettura in esercizio da più di ottant'anni e diventata uno dei simboli più amati di Milano (n.d.r.).

I primi passi del trasporto pubblico

Fino all'unità d'Italia Milano non ebbe alcun servizio di trasporto urbano pubblico, eccezion fatta per pochi carrozzoni trainati da cavalli, decisamente insufficienti per i crescenti bisogni dei cittadini, che pertanto si arrangiavano, laddove le finanze lo permettevano, con mezzi propri o con le vetture di piazza, queste ultime decisamente costose. La situazione era decisamente migliore, invece, sul fronte dei collegamenti tra Milano e i comuni lombardi, grazie ad un sistema stradale extraurbano che, nel XIX secolo, faceva invidia al resto d'Europa. La rete viaria era infatti la migliore d'Italia, e contava ben 21.600 chilometri di collegamenti, che non privilegiavano solo il capoluogo. Si pensi che già nel 1835 era stata inaugurata una linea di diligenze che collegava velocemente, e con orari precisi, Milano con Monza. Nel 1840 la stessa linea venne rivoluzionata con la posa di rotaie, sulle quali presero a correre a velocità inimmaginabili per l'epoca due nuovissime locomotive a vapore, la "Lombardia" e la "Milano", su concessione rilasciata alla società viennese Arnstein & Eskeles. La "Imperial regia privilegiata Strada Ferrata Milano-Monza" ebbe presto un successo strepitoso, con duemila passeggeri trasportati al giorno. Davanti a tale progresso tecnologico, l'entusiasmo per la velocità spinse un gruppo di cittadini milanesi a chiedere a gran voce l'istituzione di un servizio di trasporti passeggeri funzionante all'interno della città. Le autorità comunali approvarono quindi la proposta di creare un sistema cittadino di trasporto pubblico che potesse collegare, a beneficio di tutti, le varie zone della città, ormai in espansione costante. Se però sulla necessità del trasporto urbano si trovarono tutti d'accordo, ciò che divideva era il mezzo meccanico da utilizzare: tramway (su rotaia) o omnibus (liberi sul fondo stradale)? Dopo numerosi progetti e proposte, anche alla luce di esperienze straniere, la controversia si risolse premiando i secondi, in considerazione della particolare situazione stradale cittadina, caratterizzata da vie tortuose con curve strette e spesso a gomito.

Nasce l'Omnibus

Il 28 giugno 1861, con atto redatto dal notaio Bolgeri, venne costituita la Società Anonima degli Omnibus per la città di Milano (S.A.O.). Il primo gennaio dell'anno seguente, la piazza del Duomo appariva con qualcosa di diverso dal solito andirivieni di carrozze e carretti spinti a mano: nella nebbiolina di quella fredda mattinata facevano bella mostra di sé i nuovissimi e modernissimi omnibus verdi, a quattro ruote, trainati ciascuno da una coppia di cavalli. L'interno di ogni veicolo era illuminato da una grossa lampada ad olio, i posti a sedere erano otto, il costo del biglietto 10 centesimi e la frequenza di dieci minuti. Direttore del servizio era il giovane Emilio Osculati (fratello di Gaetano Osculati, celebre esploratore e pioniere), che quella mattina, nella sala d'aspetto e deposito bagagli situata in piazza Duomo 23, si affannava a dare le ultime disposizioni al personale. Il servizio incontrò subito il favore dei Milanesi, anche se col passare degli anni il traffico privato, sempre in aumento, cominciò ad intralciare le corse degli omnibus S.A.O. Ben presto, quindi, sull'onda degli esempi forniti dalle grandi città europee, si cominciò a riflettere sulla possibilità di passare al trasporto urbano su rotaia.

I tentativi di miglioramento

Il 17 gennaio 1863 l'ing. Tettamanzi presentava, assieme all'imprenditore Rivolta, un'istanza al sindaco Beretta per "ottenere la concessione di una ferrovia da stabilirsi sulla strada di circonvallazione della città di Milano". Il progetto venne inoltrato, come voleva la legge, anche al R. Ministero dei Lavori pubblici di Torino, sostenuto dalla motivazione che una tale ferrovia avrebbe senz'altro alleggerito il peso che le strade cittadine erano costrette quotidianamente a sopportare. Una strada ferrata a cavalli, costruita tutt'attorno alla città, avrebbe permesso di distribuire le merci in ogni punto di Milano, senza la necessità di attraversarla e congestionarla. Se, purtroppo, alcune difficoltà burocratiche fecero naufragare l'interessante progetto, nello stesso periodo un altro precursore dei tempi, il tenente colonnello Gandini, presentava alla città i propri studi viabilistici estremamente all'avanguardia. Questi, che a Londra aveva seguito da vicino la progettazione della metropolitana, e in altre città d'Europa si era distinto per aver risolto non facili problemi tecnici legati al trasporto urbano, presentò ufficialmente il proprio progetto per convogliare il traffico cittadino "sotto il piano di terra", e per l'esattezza nell'alveo del naviglio, opportunamente prosciugato e coperto. Ma i tempi forse non erano ancora maturi, e il troppo azzardato progetto venne senz'appello bocciato: si dovrà attendere ancora un secolo perché Milano possa avere la sua metropolitana.

Il potenziamento degli Omnibus

Mentre i progettisti teorizzavano sull'evoluzione dei trasporti, la S.A.O., coi piedi ben saldi a terra, continuava a potenziare il servizio di omnibus, aggiungendo, alle precedenti già in servizio, nuove vetture da 14 e 16 posti, mantenendo quelle da 8 posti solo per i tragitti corti e centrali. Nel 1864 iniziò a funzionare la Stazione centrale (attuale Piazza della Repubblica), e tutte le linee degli omnibus vennero modificate in funzione di tale polo ferroviario, in grado, ben presto, di stravolgere il concetto stesso di trasporto e di commercio. Le vetture S.A.O. circolanti erano a tale data 35, e le linee undici, tutte con capolinea in piazza Duomo.

Le prime ippovie extraurbane

Nel 1876 l'Osculati, ormai uno degli uomini più rispettati di Milano, ottenne la concessione per una ippovia ferrata sulla strada Milano-Monza, con partenza ai caselli di Porta Venezia, appena fuori i bastioni. L'inaugurazione fu fissata per l'8 luglio dello stesso anno: in servizio otto vetture a due piani di nuovo modello, la cui rimessa si trovava in via Sirtori al numero 1, poco distante dal capolinea. Il primo viaggio, al quale parteciparono le autorità cittadine e il principe Umberto, non si rivelò essere dei migliori. Un piccolo deragliamento e qualche intoppo tecnico rallentarono notevolmente il tempo di percorrenza, che alla fine fu di circa tre ore e mezza. Tuttavia, incurante delle malelingue e delle battute velenose (il servizio fu ribattezzato "el trotapian"), l'Osculati, dopo una giornata di assestamenti tecnici, decise di aprire il servizio al pubblico il 10 luglio. Per l'occasione venne messo in vendita il "Giuoco del Tramway" (una sorta di gioco dell'oca), e il liquorista Galimberti, con un'abile manovra commerciale, elaborò il tonico corroborante "Tramway", la cui etichetta riproduceva, naturalmente, il tram per Monza. Il 24 giugno 1877 entrò in servizio una seconda ferrovia ippotrainata, la Milano-Saronno, della società belga dei tramways e ferrovie economiche di Milano, Bologna, Roma. Il capolinea di questa nuova tratta fu posto all'Arco del Sempione. Poco più tardi entrambe le linee ferrate furono autorizzate ad allungare il proprio percorso, entrando in città: la Milano-Monza spostò il capolinea in corso Venezia, di fronte al numero 8, quasi in San Babila, mentre la Milano-Saronno si spinse fino in via Cusani.

L'avvento del vapore sulle linee extraurbane

A causa del preoccupante innalzamento dei costi, le due società dei tramway extraurbani decisero di affidarsi alle nuove macchine a vapore: le locomotive. Nulla a che fare con le grandi vaporiere veloci in forza sulle lunghe tratte, come ad esempio per Bergamo o Torino. Queste erano dei piccoli cassoni a due assi, muniti di tettoia, sui quali era installata una caldaia di modeste dimensioni. Così, il 6 giugno 1878, venne inaugurata la prima trenovia italiana, la Milano-Gorgonzola-Vaprio d'Adda, su progetto degli ingegneri Radice e Manara. L'utilizzo di queste locomotive al posto dei placidi cavalli destò nella folla stupore e ammirazione, e il successo fu subito decretato. Il mostro che procedeva autonomamente, al suo primo ingresso a Saronno, fu accolto dalla popolazione festante, radunatasi per ammirare la veloce locomotiva sistema Krauss, con caldaia tubolare a dodici atmosfere, collocata orizzontalmente. Tale e tanto fu il successo di questi primi esperimenti, che negli anni seguenti vennero costruite numerose linee extraurbane a binari, con carrozze trainate sempre e solo da piccole locomotive a vapore, chiamate dal popolo "Gamba de legn". Nacquero così, una dopo l'altra, la Milano-Gorgonzola-Vaprio, la Milano-Magenta-Castano, quest'ultima con partenza da corso Vercelli, la Milano-Cascina Gobba-Vimercate, la Milano-Pavia, la Milano-Lodi. Il grande decennio delle tramvie a vapore interurbane si chiuse con numeri davvero ragguardevoli: 156 gamba de legn collegavano Milano con la Lombardia, e ben 912 carrozze erano regolarmente in servizio.

Dall'Omnibus al Tramway

Nonostante i collegamenti con i Comuni vicini e lontani fossero ormai assicurati da linee ferrate a vapore, all'interno di Milano non solo il vapore era proibito, ma neppure la posa dei binari era ancora stata autorizzata, cosicchè per la città continuavano a circolare i sempre più antiquati omnibus a trazione animale. L'aria di cambiamento si fece sentire quando nella seduta della giunta comunale del 23 settembre 1880, l'assessore Cusani, presa la parola, si lanciò in un panegirico delle linee ferrate, accusando la Giunta di immobilismo, barricata dietro false paure, benchè le linee tramway in funzione non avessero provocato incidenti o disastri di sorta. Auspicava dunque che, al più presto, si progettasse di "avviluppare Milano in una rete di tramvie a cavalli su rotaie ferrate". Quando alla fine delle accese discussioni il Comune decise di assegnare in concessione linee pubbliche su rotaia in sostituzione degli omnibus, l'unica società partecipante alla gara fu la S.A.O., che offrì al Comune una partecipazione del 6% sull'introito lordo per un contratto di tre anni. La potenza economica della S.A.O. era del resto irraggiungibile per qualsiasi altra impresa, basti pensare che dai primi pochi omnibus di soli vent'anni prima, era ormai proprietaria di più di cento vetture, con seicento dipendenti. Oltre alla storica scuderia di via Sirtori, nel corso degli anni erano state predisposte l'infermeria dei cavalli alla cascina S.Pietro di Lambrate e un paio di rimesse per le vetture, di cui una, vicino al cimitero di Musocco, quale ricovero per le vetture del servizio funebre. Aggiudicatasi dunque la concessione, e considerato che l'Esposizione Nazionale, importante vetrina di tecnologie e modernità, era prossima ad aprire i battenti, vennero celermente iniziati i lavori per la posa delle rotaie, privilegiando in questa prima fase le linee che conducevano proprio all'Esposizione. Il sindaco Belinzaghi, da quanto riportano le cronache dell'epoca, era felicissimo, sia per la straordinaria riuscita dell'Esposizione, sia perché i nuovissimi tram a cavalli conferivano alla città un aspetto di autentica modernità. Nonostante la complessità dei lavori stradali, nell'arco di un paio d'anni le linee a rotaia poterono correre per tutta Milano. Nel 1884 la S.A.O. inaugurò, all'apice della sua potenza, la linea Milano-Corsico. A partire da questo periodo la piazza del Duomo iniziò a caratterizzarsi per il famoso "carosello" dei tram S.A.O.: ben cinque linee tranviarie vi facevano capolinea, cosicchè sostavano mediamente una decina di vetture coi relativi cavalli. Nello stesso periodo venne completata anche la linea della circonvallazione, mentre undici erano le linee radiali verso il centro.

L'avvento dell'elettricità: i tram a trazione elettrica

Tuttavia la S.A.O., che appariva ormai ineguagliabile e sempre pronta a fare di meglio, non aveva fatto i conti con una nuova scoperta destinata a cambiare il mondo: l'elettricità. Il professore Giuseppe Colombo, rettore del Politecnico, che da un paio d'anni aveva iniziato a fare interessanti esperimenti con una piccola dinamo tipo Edison acquistata a Parigi, riuscì infatti ad illuminare con l'energia elettrica il ridotto della Scala. La sua officina elettrica, situata in via S.Redegonda, nel 1883 mise in funzione la prima centrale elettrica d'Europa, la seconda al mondo dopo quella di New York. Forte dei progressi fatti in pochi anni, il Colombo, costituita la società Edison, ottenne dal Comune la concessione per illuminare elettricamente l'intera Piazza del Duomo, la Galleria, la piazza della Scala e i principali passaggi cittadini. Il 21 novembre 1892 il Comune stipulò con la Edison, ormai redditizia società, la convenzione annuale per l'esercizio di pubblici tram a trazione elettrica, sul percorso piazza Duomo – corso Sempione. L'anno successivo una seconda convenzione affidò alla Edison ben 18 linee elettrificate, di cui 15 con capolinea in piazza Duomo. La S.A.O., che ormai aveva perso parecchio terreno (anche dal punto di vista dell'immagine), per restare al passo introdusse sulle proprie linee i nuovi tram ad accumulatori svizzeri. Dopo aver riaffermato momentaneamente il prestigio della propria azienda, l'Osculati, davanti all'avanzare inesorabile della Edison, introdusse quella che all'epoca era davvero una novità: tramway automobili con sistema Serpollet a vapore. Il manovratore aveva a disposizione la pompa a mano per la messa in moto, il rubinetto regolatore, leva del cambio e freni. Tuttavia, in questa guerra al progresso, a soccombere fu la S.A.O., schiacciata dalle troppo efficienti linee elettrificate Edison. Questa, sfruttando il fatto che la città era in continua espansione territoriale, iniziò ad impiantare nuove linee che correvano per ogni dove. Le sue vetture furono anche equipaggiate, al loro interno, di campanelli elettrici, cosicchè i passeggeri, suonandoli, potessero avvisare il conducente dell'intenzione di scendere alla fermata successiva. Il cavaliere Emilio Osculati, sessantacinquenne, ammise la propria sconfitta, e decise di ritirarsi dedicandosi all'esercizio di vetture private. Da quel momento, un po' alla volta, tutte le linee urbane vennero elettrificate, e i cavalli messi definitivamente a riposo. I giornali titolarono: "I cavalli alati non vedranno il secolo nascente!". Al 31 dicembre 1898 la rete tranviaria a trazione elettrica raggiungeva la lunghezza totale di esercizio di 61.686 metri. La S.A.O. dovette dare l'addio anche alla mitica ippovia Milano-Monza: nel 1900 fu ceduta alla Edison per essere elettrificata. La sera del 5 dicembre 1901, nel largo davanti a S.Vittore, esce di scena l'ultimo tram a cavalli della città. La mattina seguente, sul percorso via Mercanti, Dante, S.Giovanni sul Muro, corso Magenta, S. Agnese, piazza S.Ambrogio, via S.Vittore, prendono servizio sette nuove motrici elettriche della Edison. Due anni dopo anche la Milano-Corsico passa alla Edison per essere elettrificata. L'epoca del tram su rotaie trainato dai cavalli, vero precursore del trasporto pubblico urbano, cessa per sempre di esistere.

La Grande Esposizione del 1906 e i nuovi mezzi di trasporto urbano

Nel 1906, sulla scia dell'apertura del traforo del Sempione, Milano inaugurò la Grande Esposizione, dedicata all'industria dei trasporti, con due diverse sedi: la prima al parco, la seconda in Piazza d'armi, collegate tra loro da una piccola ferrovia, anch'essa oggetto di mostra. Per superare gli ostacoli che però sorgevano lungo il suo percorso, tra i quali la stazione delle ferrovie Nord, questa meraviglia tecnologica venne costruita tutta in sopraelevata, naturalmente a trazione elettrica. La linea d'alimentazione era formata da due fili di rame duro elettrolitico, tesi in corrispondenza della mezzeria dei due binari, ad un'altezza massima di cinque metri e mezzo. Con quaranta corse all'ora, la modernissima sopraelevata era in grado di trasportare circa sessantamila persone al giorno. Essendo l'Esposizione una grande occasione per fare conoscere le più recenti invenzioni nel campo dei trasporti terrestri, numerose società meccaniche presentarono i propri progetti, alcuni duraturi, altri solamente provvisori. Così, il 10 giugno del 1906 venne attivata la linea Stazione-Esposizione, con omnibus automobili a vapore della Serpollet italiana. Questo omnibus mantenne per due mesi la massima regolarità di servizio, con una percorrenza di circa novanta chilometri al giorno.

Inoltre, nel periodo dell'esposizione, la S.I.T.A., costituitasi nel 1905 con lo scopo di dotare Milano di veloci linee di trasporto urbano mediante omnibus automobilistici alimentati a benzina, riuscì a gestire, con tali mezzi, addirittura quattordici linee urbane. Anche la F.I.A.T. – Diatto iniziò a mettere in funzione delle vetture tranviarie elettriche, ma la vera novità tra le novità fu la vettura filoviaria della Società per la Trazione Elettrica.

La municipalizzazione del trasporto urbano

Fin dalla promulgazione della tanto discussa legge numero 103 del 1903, il Governo era stato incaricato di procurare le risorse necessarie agli enti locali affinchè questi potessero riscattare e conseguentemente gestire tutti i servizi pubblici locali. Milano aveva presto iniziato questo corso economico votando di non rinnovare alla Edison la concessione per l'illuminazione cittadina, dando conseguentemente vita all'Azienda Elettrica Municipale. Pur registrandosi il successo di questa operazione, non si era inizialmente voluto sollevare il problema dei trasporti pubblici, le cui linee, oramai, vantavano uno sviluppo di quasi 76 chilometri, con circa 300 vetture. Tuttavia, dopo un decennio di tentennamenti, il 25 gennaio 1917 il Comune, che non aveva rinnovato la concessione scaduta l'anno prima, rilevò dalla Edison tutto il materiale rotabile e gli impianti per l'alimentazione. Anche il personale della Edison passò alle dipendenze del Comune. A Giuseppe Colombo, che aveva fondato la società elettrica 33 anni prima, rimase, momentaneamente, la concessione per le sole linee extraurbane, poca cosa per poter permettere alla Edison di avere ancora un vero sviluppo. Tant'è che il 19 marzo del 1919 venne costituita la S.T.E.L., Società trazione elettrica lombarda, che ottenne in gestione le linee extraurbane al posto della Edison.

Il ventennio fascista

Dopo la soppressione, avvenuta nel 1926, dell'ormai caratteristico "carosello" di piazza Duomo per motivi viabilistici, nella seconda metà degli anni '20, dagli USA, arrivò una vera innovazione: il tram con ruote montate su carrelli separati, cioè carrelli in grado di ruotare separatamente rispetto al corpo della vettura. Così anche a Milano, tra il 1927 e il 1930, entrarono in servizio le vetture mod. "1928", denominate "Peter Witt" (moltissime tutt'oggi in servizio), che presero il nome proprio dall'ingegnoso presidente della compagnia di trasporti di Cleveland. Questi tram, costruiti dalla Carminati & Toselli in 500 esemplari, erano di color nocciola e crema (poi ridipinti negli anni quaranta di verde), ed erano dotati di porte a soffietto anziché dei soliti cancelletti in ferro. Inizialmente erano allestiti con un salottino per fumatori, presto soppresso. Dal 1932 iniziò poi la fabbricazione di tram articolati a tre casse, sempre della Carminati & Toselli, in servizio fino ai bombardamenti del 1943. Tutto il periodo tra le due guerre fu in ogni caso caratterizzato, oltre all'incremento delle linee tranviarie, anche dallo sviluppo di autobus (alimentati a legna, date le ristrettezze imposte dall'autarchia) e dalle più efficienti filovie, che tra il 1933 e il 1940 riscossero grande interesse, poiché funzionavano a corrente come i tram, ma non richiedevano la costosa messo in posa delle rotaie.

Dal dopoguerra alla metropolitana

Durante il secondo conflitto mondiale anche le linee (ben 37) e i mezzi di trasporto urbani subirono pesantissimi danni. Furono centinaia le vetture tranviarie distrutte sotto il peso dei bombardamenti anglo-americani, e, come se ciò non bastasse, l'esercito tedesco sequestrò più di 30 tram per inviarli a Monaco, dove sostituirono le vetture andate distrutte dai bombardamenti alleati. Al termine della guerra la situazione tornò alla normalità, ma per una perfetta efficienza si dovettero attendere gli anni Cinquanta, dato che fino ad allora molte vetture tranviarie circolavano riparate alla meglio dalla Breda, con ricambi e componenti di fortuna, recuperati dallo smantellamento delle vetture giudicate definitivamente compromesse. In ogni caso fu possibile ricostruire tutte le "1928" (ad eccezione della numero 1624), grazie al loro robusto telaio d'acciaio. All'interno i sedili vennero ricostruiti in legno e unificati. Sul fronte del trasporto extraurbano le cose non andavano meglio, visto che nel 1952 le linee Milano-Magenta e Monza-Trezzo-Bergamo erano le uniche ancora a carbone su tutto il territorio nazionale, oltre alla Barletta-Bari.Infatti i costi troppo alti ne sconsigliavano la ristrutturazione, e le due linee rimasero a carbone assorbendo, fino alla loro soppressione, locomotive e carri provenienti dalle altre linee, che venivano mano a mano elettrificate. Tuttavia, ben presto anche queste linee vennero soppresse, e il famoso gamba de legn sostituito da autobus.Gli ultimi quarant'anni di storia sono caratterizzati dal moltiplicarsi delle linee, sia urbane che extraurbane, e dall'introduzione di mezzi tecnologicamente sempre più avanzati, con una spiccata prevalenza per gli autobus con motore a scoppio, giudicati più economici e veloci.

Ma tra il 1958 e il 1959 entrarono in servizio anche 40 filovie snodate a 4 assi Fiat 2472 CGE Viberti, cui seguirà un ulteriore fornitura di altre 45 unità negli anni 1964/65 (veicoli che resteranno in servizio fino agli anni '90, quando furono sostituiti con i filobus tutt'oggi in circolazione). Negli anni settanta si registrarono due importanti novità: il nuovo coloro dei veicoli, l'arancione al posto del verde, e la sostituzione, per quanto riguarda il meccanismo attraverso il quale i tram prendono corrente, della "perteghetta" a rotella con il più sofisticato pantografo. Con l'avvento della metropolitana la modernizzazione dei trasporti pubblici urbani raggiunse il suo culmine. I lavori per quella che sarà poi la Linea Uno iniziarono nel 1957, per concludersi nel 1964. Negli anni successivi ulteriori lavori ne prolungarono sempre più la sua lunghezza. Nel 1971 iniziarono i lavori per la Linea Due, mentre nel 1982 quelli per la Linea Tre.

*fonte: www.storiadimilano.it

foto: Anto Zaza

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