Claudio for Expo

ICH Sicav

 

L’Insubria, la regione che non c’è

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La questione del ridisegnamento dei confini regionali e provinciali volti a rimodellare l’assetto amministrativo del nostro territorio per rispettare meglio le richieste identitarie della popolazione e la migliore attenzione e vicinanza al governo locale è un fiume carsico che periodicamente fa la sua comparsa tra le Alpi e il Po. Su tutti gli argomenti svetta la regione che non c’è, ossia l’Insubria. La regione insubrica è un concetto senza dubbio valido dal punto di vista storico, ma anche culturale, linguistico, economico. Più della stessa Lombardia, per non parlare della inventata Padania. E in passato, per diversi secoli, territorio anche ben connotato dal punto di vista politico ed istituzionale grazie al Ducato di Milano. Ma l’Insubria oggi non esiste. E stupisce che tale regione inesistente coincida con l’epicentro in cui sono nati e proliferano i più importanti movimenti autonomisti, federalisti e secessionisti. Ricordiamo ai più distratti che l’Insubria è quel territorio compreso tra il Sesia a est e l’Adda a ovest e tra il Po a sud allo spartiacque alpino a nord. Un territorio diviso tra due regioni, Piemonte e Lombardia, in parte incluso nella Svizzera, il Canton Ticino e i Grigioni italofoni, e comprendente ben undici province italiane di cui due solo in parte, Vercelli e Pavia. Non certo un territorio omogeneo per quanto riguarda il suo governo e questo aspetto non ha mai aiutato chi in passato ha tentato sintesi e proposte. Ai tempi della riforma delle province e della inevitabile riduzione di numero delle stesse, si parlò di accorpamento tra quelle di Varese, Como e Lecco. Questa soluzione poteva rappresentare qualcosa di significativo, almeno per l’immagine, ossia la nascita della provincia dell’insubria prealpina. Il dibattito ai tempi si infervorò non poco, ma predominarono gli aspetti di colore locale e campanilistici. La riforma delle province fece la fine che sappiamo, un pastrocchio all’italiana, gattopardesco, l’obiettivo non era di certo riformare un bel niente, ma garantire la perpetuazione sotto mentite spoglie del parcheggio per un ceto dirigente non realmente necessario in una istituzione altrettanto inutile. Ma della questione se ne parlò, anche tra chi di Insubria ne sapeva poco e questo rappresentò un successo di per sé. Negli anni precedenti si tenne in vita un acceso dibattito in merito in chiave transfrontaliera grazie alla Regio Insubrica, comunità di lavoro appunto transfrontaliera. Istituzione finita in breve sul binario morto, seppellita da ultimo da Roberto Maroni che predilige soluzioni più europee e di vasta scala come la Macroregione Alpina (Eusalp). Recentemente su iniziativa del sindaco di Cantù (CO) Claudio Bizzozero si parlò di istituire una nuova regione, l’Insubria, ma onestamente, se di regione dobbiamo parlare, è meglio eliminarle piuttosto che pensarne di nuove. Non esiste nessun appeal nella popolazione, sono associate ad una istituzione replica del peggiore centralismo statale, pletoriche, costose e ora anche screditate dopo scandali e scandalucci del recente passato. Sempre in chiave insubrica, in Ticino, la neonata Lega Sud propone di secedere dalla Svizzera e di aggregarsi alla Lombardia. Ovviamente solo se quest’ultima è autonoma. A livello culturale la riscoperta dell’insubria, delle sue radici storiche e identitarie è sempre stata nella corde di tante associazioni locali di svariato conio, su tutte Terra Insubre. Il lavoro “culturale” e di sensibilizzazione è stato ed è sicuramente apprezzabile, pensiamo anche ai tanti gruppi che si occupano di storia locale, di tradizioni, di lingua lombarda. E’ mancata sempre una declinazione in politica del sentimento insubre, ad eccezione, per il momento, del Movimento econazionale Domà Nunch e di qualche movimento civico. In parte questo disimpegno è stato ed è dovuto al “tappo” della Lega Nord, non sempre, anzi quasi mai, allineata sulle posizioni insubriste. La Lega parlava di Padania, non di Insubria, utilizzava proposte e contenuti importanti come autonomia, federalismo, devolution, secessione solo come slogan, come strumento per raccattare potere, non perché ci credesse veramente, tanto è vero che al di là delle parole non c’è mai stata una strategia trasparente in materia e in trent’anni non si è raggiunto un granchè di concreto. Per finire recentemente con la svolta di Salvini nel novero dei partiti “della nazione”….italiana ovviamente. Strategie autonomiste invece ben chiare e più sentite e condivise a chi milita nei gruppi e nei movimenti di rito insubrico, gruppi che però, come detto, sono più attenti alla rivalutazione e allo studio della storia e delle proprie radici che ad un impegno realmente politico.

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