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Quando a Milano c’era la pelota

Scritto da  Claudio Bollentini e Simone Mosca

Alzi la mano, chi, oggi quarantenne o più, non è entrato almeno una volta nella vita nello sferisterio di via Palermo a Milano, nel modaiolo quartiere di Brera! Il regno della pelota basca ovvero la varietà più diffusa la Jaialai. Credo che di mani alzate ne vedrei poche. Era un locale e un ambiente cult in ogni senso. Per le persone che lo frequentavano, per l’atmosfera esotica, per quel sentore di sordido che non manca mai nei locali dove si scommette. Sembrava un set di un film poliziottesco anno 70 oppure il classico locale in cui ti potevi aspettare da una momento all’altro l’irruzione di Bud Spencer per mettere ordine tra un’infinità di fauna border line. Frequentazioni ai tempi dell’università nel mio caso e poi qualche altra rara volta in seguito. Andavo al bar e guardavo le partite. Passatempi di una Milano in cui non infuriava ancora la tendenza dell’happy hour, dell’apericena e dei fuorisalone. Ho trovato un bel articolo di qualche anno di Simone Mosca, poche righe, ma che descrivono in pieno sensazioni e impressioni in cui mi ci ritrovo. Per la cronaca, vera la storia delle assidue frequentazioni dei socialisti anni 80, soprattutto quelli d’alto bordo. Ma vi lascio alla lettura (C.Bol.).

La leggenda qui portava il soprannome di Chiquito, breve giocatore da un metro e sessanta e di pancia robusta, che sul campo volava da libellula inseguendo sui muri la palla. Infinita classe ma carattere arcigno e latino, a metà partita era all’improvviso colto da rabbia cieca. Fischi o applausi, le scenate del permaloso Chiquito contro il pubblico erano una costante. La Pelota Jaialai di via Palermo 10 conserva ormai poche memorie di quel selvaggio “Cassano spagnolo” e delle altre decine di campioni che per cinquant’anni hanno tenuto viva a Milano la passione per lo sport nazionale basco. Soltanto l’insegna all’ingresso rimane la stessa, mentre i 2000 metri quadri del glorioso sferisterio (così è detto il campo) sono ormai un elegante spazio frequentato soprattutto da moda e design nelle settimane calde dell’anno.

La storia comincia nel 1946 quando l’imprenditore milanese Del Pozzo costruisce e apre il campo. A Milano l’unico altro sferisterio era dal 1907 quello del centro polisportivo Kurstal Diana di viale Padova, oggi celebre Hotel. Negli anni ’20 la pelota basca divenne sport popolare in tutto il mondo, grazie all’indiscutibile spettacolarità della disciplina. Ci si confronta su di un campo lungo 55 metri e largo 10. Di fronte si ha una parete alta circa dodici metri contro cui viene scagliata la pelota, una palla da140 grammi di caucciù realizzata artigianalmente, elastica ma dura come un sasso.

La palla viaggia fino a 300 chilometri orari (il record è un 302 fatto registrare nel 1979). Quando rimbalza sulla parete sembra scomparire. Scambi velocissimi e pericolosissimi. Il pubblico è protetto da una rete, gli atleti da un casco, obbligatorio dal 1960. Negli anni precedenti furono in tutto il mondo trenta i morti accertati in gare ufficiali. La pelota può rimbalzare una sola volta a terra o sul muro laterale d’appoggio. Poi deve essere rilanciata contro la parete. Chi sbaglia regala il punto agli avversari. Squadre da sei a nove, si scende in campo a turno, in singoli o doppi. La variante jai alai (in basco significa festa felice) prevede che la racchetta sia una chìstera, una cesta di vimini lunga mezzo metro e larga 5 centimetri, giusto il diametro della palla. Abilità, velocità, grazia, potenza e senso della posizione. La sala milanese rimane un ritrovo tranquillo, fino a quando nel 1974 entra in crisi.

La svolta è l’arrivo nel 1976 di Salvatore Laino, napoletano col senso degli affari. È lui che con l’aiuto del giocatore basco Sabino Elizburu riesce a riunire in via Palermo i migliori giocatori, strappandoli al mercato americano. Il motore della faccenda, ovviamente, sono le scommesse. Il ricordo di tutti allora corre agli anni ’80, anni d’oro in cui lo sferisterio era ossessione e ritrovo per centinaia di appassionati. Puntata minima mille lire, gli incontri su cui giocare erano tre. In fondo alla sala il monito scritto largo, che tutti lo leggessero: “La decisione dell’arbitro è inappellabile”.

Sulle gradinate (due ordini, platea e palco) 800 persone a sera, 1200 nei fine settimana. Il tabellone era una succursale di esotiche generalità. Arrata Zubiza, Ara Echeva, Ugarte Odri, Luis Zarasola. Attorno a loro, al potente Dano e al virtuoso Oleaga, giravano le puntate e la madonne di un popolo molto vario. Il bullo di quartiere, il malavitoso, l’avvocato di fama, un esercito di nevrotici figuri in paltò che si rovistava le tasche. All’appello anche i socialisti, qualcuno giura di aver visto una volta Bettino al banco scommesse, dietro la platea. Estenuanti, sempre, erano le discussioni tra i delusi dal risultato, certi della combine ma mai abbastanza da restarsene a casa. Indimenticabili i tipi assorti, appoggiati al bancone del bar al secondo piano dove sfilavano, dal Piazza al Braulio, tutti gli amari d’ordinanza. Non li scuoteva affatto il botto della palla sulla parete, neppure il caratteristico “oi” degli atleti alla battuta.

Le luci sul campo verde e rosso si affievoliscono negli anni ’90. Prima il clima severo di tangentopoli, poi Berlusconi che porta le partite di calcio la sera in diretta su Telepiù, e infine gli economici gratta e vinci che si mangiano le mille lire. Il 31 maggio 1997 si chiude. Salvatore Laino e la moglie Gabriella Zocca si arrendono dopo 21 anni. I campioni tornano in america, altri vanno a Cannes, in Italia non resta più alcun impianto. L’ormai 70enne Severino Elizburu assieme a Jesus Echaniz e Jose Torres rimane a Milano e apre un ristorante: la Taverna Basca in Ludovico il Moro.

La Pelota Jaialai però in qualche modo se la cava. Se all’inizio rischia di scomparire per un garage, la famiglia Gerani con il marchio Gilmar rileva lo spazio con l’idea di farne una location. E dopo tre anni di lavori viene fuori nel 2001, così come è oggi. Un grande spazio bianco che si traveste all’occorrenza per feste, sfilate, esposizioni, meeting. Intatte le gradinate, sopravvive anche il tabellone. Una bella architettura, pulita, con le pareti a mosaico, tessere grigie tipo piscina, un tocco vintage che l’attuale proprietà si è occupata di restaurare. In alto luci tipo astronavi disegnate da Mark Newson. Ma lo spirito dei tempi sta negli spogliatoi, che oggi sono camerini e postazioni da trucco attrezzate per decine di modelle. Non ditelo a Chiquito.

*Simone Mosca, "Le scommesse perdute nel regno della pelota", pubblicato su Repubblica, pagina di Milano, 3 agosto 2011 - http://milano.repubblica.it/

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