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Nel Parco del Ticino, da Vigevano a Pavia

Scritto da  Redazione

La Pianura Padana è un immenso deposito di fatiche, scriveva nell’Ottocento Carlo Cattaneo, letterato e patriota. Si riferiva al fatto che il paesaggio padano, questa immensa trama di prati, campi e canali era stato plasmato a partire dal Medioevo dall’ingegno dell’uomo. Nella Bassa Milanese le comunità monastiche si applicarono con vigore a quest’opera di colonizzazione. Fecero scomparire le antiche selve, regolarono le acque superficiali, dissodarono i campi e inventarono ingegnosi sistemi di coltivazione, come le marcite e i prati irrigui, che permettevano di avere sempre pingui raccolti. In seguito l’agricoltura seppe evolvere in forme moderne, con cascine disseminate su vasti fondi agricoli, ma sempre con un’attenzione particolare al paesaggio. Nel Seicento, un viaggiatore salito sul Torrazzo di Cremona si stupiva dell’effetto che creavano le quinte di alberi che separavano un campo dall’altro, al punto che pareva di scorgere un’immensa foresta.

In questi ultimi decenni, il paesaggio che si era venuto a formare con un così tenace lavoro si è molto impoverito. Le moderne tecniche agrarie hanno ridotto le alberature, semplificato il sistema irriguo, unificato le colture. I geografi definiscono questo territorio una ‘steppa a cereali’, uniforme e monotona, dove la naturalità è quasi del tutto scomparsa. Strade, fabbriche e case sono dilagate ovunque, l’inquinamento ha contaminato fiumi, fossi e canali, i pesticidi hanno eliminato i fiori e la varietà delle piante erbacee.

Pedalare nella pianura non è dunque sempre piacevole. Esiste ancora qualche eccezione. In Lombardia occorre recarsi sulle sponde dei principali fiumi che, grazie alla loro portata, riescono a diluire i carichi inquinanti. Inoltre, lungo il Sesia, il Ticino, l’Adda si trovano estese fasce boschive, veri ‘corridoi ecologici’ che conservano valori naturali altrove compromessi. Molte di queste zone sono protette da parchi naturali. Qui è piacevole andare in bicicletta, fra stradine sterrate e sentieri, percorrendo anche lunghe distanze. La valle del Ticino (si intende valle tutto il corso inferiore di questo fiume, leggermente depresso rispetto alla pianura vera e propria) offre grandi possibilità. Ecco dunque un facile itinerario cicloturistico, da Vigevano a Pavia affrontabile con il servizio Treno + Bici.

Il punto di partenza è stabilito alla stazione Fs di Vigevano (km 0, alt. 116). Tenendo l’edificio alle spalle si segue verso destra viale Mazzini, parallelo allo scalo ferroviario. In fondo al primo tratto di viale, si piega ancora a destra passando a livello la ferrovia. Si affianca lo stabilimento dei Molini di Vigevano e si tiene, sempre verso destra, via Aguzzafame. Si attraversa la circonvallazione e si affronta con cautela un breve tratto contromano (50 metri) al termine del quale via Aguzzafame si biforca: si segue ora via Gambolina, lungo la roggia Mora, scavata nel XIV secolo. Siamo ormai alla periferia della città.

Al km 1.9 si attraversa la statale (emporio Full Moda) e si continua nella stessa direzione scendendo il primo ciglione della valle del Ticino. Giunti al bivio con la strada Cascinino (km 3.5, alt. 87) si prende a sinistra, si affianca la cascina Gambolina e, dopo circa 500 metri, si piega a destra ritrovando via Aguzzafame.

Si giunge così al margine del bosco ripariale e, per sterrato, si giunge alla Darsena sul Ticino (km 4.9, alt. 77), tradizionale luogo di ritrovo dei vigevanesi. Si prende a costeggiare la sponda, tenendo verso destra. Più avanti, superata la paratoia della roggia Castellana (km 5.7), si giunge all’altezza dei pannelli che indicano l’ingresso nel Parco del Ticino.

                       

1. Il Parco del Ticino. La valle del Ticino è una preziosa risorsa verde per gli abitanti dell’area metropolitana milanese. Per questa ragione, da quasi 30 anni, essa è inclusa in un parco naturale che copre un’estensione di 97 mila ettari e una lunghezza di quasi 100 chilometri, da Sesto Calende, dove il Ticino esce dal lago Maggiore, fin oltre Pavia, alla confluenza nel Po. In questo modo si conciliano la tutela dell’ambiente naturale con l’attività agricola, la fruizione turistica e le pressioni insediative dei molti comuni disposti lungo la valle. L’Ente Parco si dedica anche allo studio e alla valorizzazione del patrimonio faunistico, botanico e al recupero delle notevoli tracce di presenze storiche e archeologiche.

D’ora in avanti si seguiranno le indicazioni segnaletiche del ‘Sentiero E 1/b’, parte dell’itinerario europeo che collega il lago di Costanza con Genova. Il percorso diventa subito interessante, all’interno di un ombroso bosco di carpini, ornielli e robinie. Alcuni passaggi richiedono una certa disinvoltura nella manovra della bicicletta: attenzione ai tronchi mozzi che spuntano dal terreno! Altre frecce di legno indicano Bereguardo, che è pure la direzione da seguire. Si scavalcano su ponticelli i rami secondari del Ticino, ma il fiume resta celato alla vista. Siamo all’interno del vasto Bosco del Modrone; alle zone boschive si alternano macchie aperte che segnalano i periodici tagli di legname e le riforestazioni. 

2. I boschi. La vegetazione di un bosco fluviale dipende dall’oscillazione della falda acquifera, molto vicina alla superficie, dalla portata e dalla dinamica del fiume che possono aggredire l’alveo, inondarlo o lasciarlo secco per lunghi periodi. Lungo le fasce più protette allignano specie legnose a portamento arbustivo o già arboreo, come i salici che resistono bene alle alluvioni. Un po’ più lontano dalle sponde compaiono i pioppi bianchi e gli ontani, preludio al vero e proprio bosco ripariale con farnie, olmi e pioppo nero. La transizione fra il pioppo e la farnia indica il passaggio alla foresta planiziaria, cioé il tipo di foresta che in passato era dominante nella pianura anche al di sopra dei terrazzi fluviali.

Le denominazioni del bosco, le cui norme sul suo governo risalgono a tempi molto lontani, cambiano strada facendo; si attraversa così il Bosco della Lite, che ricorda probabili contese fra gli utilizzatori, poi il Bosco Prestino e il Bosco Salvadorino. A un tratto (km 15, alt. 75) si scavalca su un ponticello (attenzione alla catena che sbarra la strada!) il Canale Scavizzolo, dalle acque limpide, striate da erbe sommerse.

3. Il Canale Scavizzolo. È uno dei più bei e dei più lunghi rami laterali del Ticino. Le acque fluiscono silenziose e sono popolate da piante acquatiche che seguono, adattandosi, il senso della corrente. Una delle specie più diffuse è il ranuncolo fluitante, dal fusto sommerso ma che lascia apparire sul pelo dell’acqua i suoi fiorellini dalla corolla bianca e dai petali gialli.

Subito dopo il ponte sullo Scavizzolo si piega a sinistra alternando il sentiero alla strada sterrata. Più avanti (km 16.5), dopo un secondo ponticello, si giunge a un bivio non segnalato: seguendo la traccia di sinistra ci si porta finalmente sul greto del Ticino (km 17.6), nel punto dove compie un’ampia curva. Dagli orizzonti scuri e limitati del bosco, può apparire improvvisa questa veduta d’orizzonte sul fiume e sul suo bianco greto.

4. Il Ticino. «Nasce dal Monte San Gottardo come il Rodano e il Reno, attraversa il lago Maggiore e si getta nel Po a una lega da Pavia - scrisse di lui nel 1765 il viaggiatore francese Joseph Jérôme Lalande - L’acqua del Ticino è notevolmente limpida e salutare, un po’ purgativa e risolvente; candeggia perfettamente le tele, dà una buona tempera all’acciaio, vi si pesca pesce eccellente, vi si trova sabbia aurifera e pietre ricercate per le vetrerie di Venezia». In effetti il fiume diede, fino al secolo scorso, possibilità di vita alle popolazioni rivierasche che si dedicavano ad attività di vario tipo: la navigazione commerciale con grosse barche a fondo piatto; l’estrazione di sabbie e ghiaie con piccole barche da cui, grazie a un ‘cüciar’, vale a dire un grosso cucchiaio, si pescava sul fondo; la pesca, con un’altro tipo ancora di imbarcazione, il ‘barcé’ o ‘battello alla pavese’, lungo e affusolato, di facile manovrabilità in acque basse o nelle lanche.

Si riprende la via, seguendo la sponda e poi lasciandola per tornare fra i campi, oltre il bosco di ripa. Si raggiunge uno sterrato più battuto e si tiene a sinistra dove si incontra subito un cascinello abbandonato. Si sono ormai percorsi più di 20 chilometri senza incontrare un luogo abitato, sempre all’interno del bosco o molto vicino ad esso. A un tratto si sente un rumore sordo e ripetuto. Sono le auto in transito sul ponte di barche di Bereguardo che, in breve, si raggiunge (km 20.6, alt. 65). Nelle vicinanze si trovano alcuni ristoranti. Non si attraversa il ponte, uno degli ultimi esistenti di questo genere, ma si segue la strada asfaltata verso destra per poche decine di metri; al primo bivio si ritrova il segnavia E/1 e si inforca un lungo sterrato  d’argine che divide l’aperta campagna dal bosco fluviale. Si continua in questa direzione per diversi chilometri, sottopassando l’autostrada (km 22.9) e fiancheggiando il canale Venara che bagna l’omonima cascina (km 25.2). Salici e canneti bordano le sponde del canale; fra la vegetazione si nascondono piccoli uccelli come gli usignoli di fiume, i cannareccioni, i tarabusi e le salciaiole.

5. Cascina Venara. La cascina, posta accanto a una lanca del Ticino, è stata trasformata in un centro di osservazione faunistica. I lavori di ripristino hanno garantito una sufficiente circolazione d’acqua e rinvigorito la vegetazione arborea di salici, pioppi, ontani e quella palustre di tife, giaggioli acquatici, ninfee, nannufari. Grazie a un capanno si possono osservare numerose specie di uccelli che qui trovano rifugio: folaghe, porciglioni, germani reali, tuffetti, gallinelle d’acqua. Fra i mammiferi che amano l’acqua, diffusa è la nutria; numerosissime sono poi le rane e alcune specie di rettili. Si tenga presente che l’accesso alla cascina avviene dalla parte opposta a quella del nostro itinerario, vale a dire dalla strada di Zerbolò, e che le visite sono regolamentate. Per informazioni rivolgersi al Consorzio del Parco.

6. Bosco Siro Negri. Sull’altro lato della strada d’argine, oltre i pioppeti, si estende uno dei rari boschi originari del Ticino, oggi tutelato come Riserva naturale integrale. Qui sopravvivono le specie arboree (farnie, ontani, carpini) che non sono state soppiantate dalla pioppicoltura. Alcuni venerandi esemplari s’innalzano per decine di metri in cerca di luce, mentre altri alberi che ne sopportano meglio la mancanza fanno da corteggio ai loro piedi: aceri campestri, tigli, meli e ciliegi selvatici. L’accesso è possibile lungo un sentiero circolare di visita che è bene percorrere a piedi per non disturbare la fauna.

Continuando sulla strada d’argine si incontra infine la provinciale Zerbolò-Pavia (km 27.6, alt. 68) che si segue verso sinistra. Si entra qui nel paesaggio aperto delle risaie. La strada, asfaltata, si avvicina al Ticino e ne forma l’argine restando rialzata rispetto alla campagna così che le case della frazione Canarazzo, che si avvicinano al km 31, sembrano minacciate dalle acque del fiume. Il Ticino si perde in larghe anse che la strada segue docilmente. Le regolari partiture dei pioppeti nascondono di tanto in tanto il fiume. La strada prosegue piacevolmente fino al momento in cui, di lontano, si scorge la tozza cupola del Duomo di Pavia (non più, ahimé, la vicina torre, crollata nel 1989). Si intercettano strade più trafficate e, dopo il Lido sul Ticino, il nostro itinerario, superato il semaforo sulla statale 35, entra in Borgo Ticino (km 38.7, alt. 62) con le sue schiere di case affacciate al fiume. Il Ponte Coperto lo attraversa e immette direttamente nel centro storico di Pavia.

*pubblicato originariamente su: www.sentieridautore.it

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