Ha capito che la panna montata delle “eccellenze” con cui ci riempiamo la bocca e i computer può servire al massimo come decorazione di un business solido, concreto, dalle spalle larghe. Aveva dichiarato all'Ansa: «Sono due miliardi che entrano nel Paese. Ma la nostra scelta non è stata decisa dai soldi. Abbiamo capito che, nonostante gli straordinari risultati raggiunti, per la competizione che si è scatenata probabilmente non ce l'avremmo fatta da soli. Per le nostre fabbriche si aprono spazi importanti, ci sarà quindi più lavoro in Italia».
E che non è importante chi possieda cosa, ma come si possa lottare contro un mercato globale e agguerrito per continuare a imporre le proprie fissazioni: la qualità estrema di materiali e dettagli, il culto di un'eleganza che si esprima attraverso tatto, vista e quella zona del cervello che fa da link tra cultura e desiderio.
Aveva due malattie: 1) Una patologica passione per tutto ciò che è bello, raro, individuale, distintivo: ovvero la materia di cui è costituito il lusso nella sua forma perfetta e compiuta. 2) Quella che l'ha portato alla fine.
Sulla distanza, la prima sarà quella che renderà immortale il suo nome. Però spiace davvero che, per ora, abbia vinto la seconda.
*Giornalista, ci ha gentilmente concesso questo contributo - tratto dal suo blog “Beato fra le gonne” - originariamente pubblicato sul mensile MarieClaire.it