Claudio for Expo

ICH Sicav

 

La confusione del linguaggio fashion nell'era dei wannabe

Scritto da  Michele Ciavarella

La moda attraversa sempre dei periodi che la cambiano più nel suo metodo che nella sua forma. Oggi che i cambiamenti epocali, come quello degli Anni 60 con la nascita del prêt-à-porter, forse non sono più possibili, né sono possibili le rivoluzioni stilistiche degli Anni 70 e 80 per l'aridità che ha colpito la capacità di immaginazione, non solo nella moda ma nella società, si deve fare attenzione a quei piccoli segnali che, quasi mai, riescono a diventare segni degni di studi semiotici. Ciò capitò di fare a Roland Barthes, quando, dal linguaggio che adoperavano i giornali così detti femminili dell'epoca, trasse il significato sociale della moda di quel periodo (Système de la mode, Seuil, 1967; in italiano, Sistema della Moda, Einaudi).

Uno di questi segnali poco significativi che oggi possiamo osservare è la convivenza forzata della moda con il mondo digitale, grazie alla quale il significato della moda vive un momento di estrema confusione, assalita e fagocitata com'è dalle attenzioni planetarie di personaggi aspirazionali (internazionalmente conosciuti come wannabe, crasi di want to be, voler essere), che della moda percepiscono solo l'aspetto spettacolare: partecipazione agli eventi e alle sfilate, feste e party, inaugurazione di negozi e di mostre, non importa se invitati o infiltrati. Tutto questo frufrureggiare senza contenuto ma con contorno di tartine, champagne e avvistamenti di celebrità li fa sentire partecipi di un mondo che, a loro credere, è elitario e, per questo fondamentale per la loro stessa rilevanza sociale. Per ogni wannabe che si rispetti, postare una foto sui social network con il capo di abbigliamento del momento o taggarsi in un “fashion event” è più importante del fatto stesso di possedere il capo o di essere presenti all'evento.

Una mentalità, più che un comportamento, che si è impossessata anche di parecchi addetti all'informazione, i quali, non distinguendo l'informazione e la comunicazione, hanno inventato la “personalizzazione dell'informazione”, che, con la complicità di molti editori, ha abbattuto la distinzione tra la funzione di chi informa e quella di chi comunica. Ma basta esplorare i social network per scoprire che questa personalizzazione fa più comodo a chi la fa che ai lettori, visto che le aziende, nei loro progetti di comunicazione, indicano i giornalisti come testimonial ufficiali di abiti e accessori. Ma i giornalisti giustificano un comportamento al limite della deontologia con l'aumento dei like e delle pagine viste, ormai vecchi moltiplicatori che servono alla vendita della pubblicità sulle edizioni digitali dei giornali, e gli editori sono contenti. Che l'informazione della moda arrivi per ultima a questa deriva non è una consolazione.

All'esterno del settore, tutto questo si riflette in linguaggio confuso, che, per esempio, confonde la moda con il lusso, e finisce con il fare del prezzo di un abito l'unico elemento per definire il concetto di lusso. E invece, la moda molto spesso vive tutto quello che oggi viene definito “lussuoso perché costoso” prima di tutto come un problema estetico, poi anche etico. La moda, cioè, potrebbe definire di cattivo gusto anche un capo di abbigliameto o un accessorio che costa moltissimo perché il prezzo, per quanto importante, non è una discriminante.

In fin dei conti, la distinzione che quasi inconsapevolmente fa la moda è di natura puramente filosofica, perché parte da un principio estetico, e quindi etico, e non di valore, anche se purtroppo sul valore - e quindi sul guadagno - le imprese della moda stabiliscono la loro fortuna. In questo senso andrebbe data un'attenzione maggiore al significato delle parole 'moda' e 'lusso': con un piccolo approfondimento si porterebbe a scoprire che da un'idea di lusso, negli Anni Trenta, nacque la Metropolitana di Mosca, con le stazioni di marmo ed i lampadari di cristallo, mentre da un'idea di estetica, agli inizi degli Anni Ottanta, Giorgio Armani permise alle donne di entrare nei Consigli di Amministrazione delle fabbriche e delle multinazionali. Tenendo presente, infine, la differenza che passa tra il significato della moda e quello dei vestiti. Ma qui ci vorrebbe la pazienza di Roland Barthes che, se fosse vivo, supererebbe le perplessità che gli procurerebbero i selfies dei wannabe e ci aiuterebbe a superare questo momento di confusione.

Originariamente pubblicato su http://www.oggi.it/blog-michele-ciavarella/

Letto 766 volte

Claudio for Expo

ICH Sicav

 

 

 

 

Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella cookie policy. Se vuoi saperne di più o negare il consenso a tutti o ad alcuni cookie, consulta la cookie policy.

Chiudendo questo banner, scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all’uso dei cookie. Per saperne di piu'

Approvo

Scrivi alla Redazione

Puoi scriverci al seguente indirizzo:

[email protected]

 

 

 

Seguici anche su:

Realizzato da: Cmc Informatica e Comunicandoti